Dal XV secolo si cominciarono a sentire anche i primi influssi occidentali. La moda italiana del ‘500 e ‘600, che a sua volta aveva subito influenze orientali, è l’ambito dentro il quale si attivarono i processi che avrebbero dato vita a questi abiti e molti in questo senso sono i riferimenti documentari e iconografici in qualche modo utilizzabili per tentare una ricostruzione delle loro origini: numerosi ritratti, eseguiti nel ‘500 e nel ‘600, di dame italiane in abiti del tutto simili alle ncilone; l’ampia gonna raccolta in vita da numerose piegoline lanciata nel campo della moda europea di allora da Caterina De Medici; la famosa “Fornarina” di Raffaello con le maniche attaccate al corpetto tramite laccetti che lasciano sbuffare ai lati la camicia; il velo portato in vario modo in incisioni veneziane del ‘600; l’Annunziata di Antonello da Messina con la sua mantellina azzurra diventata un capo fondamentale del costume arbëresh; il presepe storico della reggia di Caserta, dove si nota che kurorët (fasce di rete d’oro lavorate a tombolo) ornano numerose gonne dei personaggi femminili settecenteschi; le stampe di Houel e di Vuiller del ‘700; gli atti dotali più antichi che documentano il costume sin dal ‘500.
Quest’abito, oggi usato indifferentemente in qualsiasi occasione di festa, veniva tradizionalmente indossato nelle ricorrenze più importanti (S. Giorgio, Vergine Odigitria, S. Demetrio), nei battesimi e nei matrimoni. Si compone di una gonna di seta rossa arricciata in vita, proposta in due versioni: ncilona, ricamata diffusamente in oro con motivi floreali, e xhëllona me kurorë, adornata a partire dall’orlo con fasce d’oro (kurorë) o d’argento lavorate a fusello.
Altre componenti sono: il grembiule nero o bleu di pizzo (vanterja); il busto (çerri); la camicia di lino bianco (linja) a maniche lunghe e ampie; il corpetto (krahët) rosso ricamato in oro senza maniche o il giubbino (xhipuni); il merletto (petini) che ricopre la parte superiore del seno; la mantellina (mandilina) di seta azzurra con l’orlo ricamato in oro; la cintura in argento con placca frontale (brezi); un certo numero di fiocchi (shkokat) il cui numero di petali varia secondo la collocazione: fiocco del capo (shkoka te kryet), fiocco anteriore (shkoka përpara), fiocco posteriore (shkoka prapa). Esisteva anche una versione invernale di quest’abito, usato dalle donne sposate, i cui componenti essenziali erano: un’ampia gonna di panno nero, il giubbino (xhipuni) con collare e polsini (pucet) ricamati in oro a punto pieno, mantellina bianca e fiocco per il capo.
Completano il costume i gioielli: orecchini pendenti (pindajet) d’oro rosso o bianco con pietre preziose incastonate (diamanti, smeraldi, rubini); girocollo di velluto con pendente (kriqja e kurçetës) anch’esso con le medesime pietre preziose incastonate; anello con diamanti grezzi a forma rotonda (domanti); collana a doppio filo di pietre di granata chiusa in più punti da sfere di filigrana (rrusarji) con pendente di varia forma contenente in origine una reliquia.
Abito nuziale
Se l’uso degli abiti tradizionali va man mano riducendosi alla sola giornata di Pasqua, l’abito nuziale invece è ancora largamente utilizzato e preferito al comune abito bianco. Questo costume non è che l’abito della festa nella versione con ncilona. Gli elementi che lo caratterizzano sono: le maniche, in seta rossa ricamata in oro con motivi floreali, chiuse ai lati esterni da dodici fiocchi a quattro petali; il velo (sqepi) color crema fissato ai fianchi sulla cintura (brezi); copricapo (keza). Antecedente all’uso dell’abito in seta ricamato in oro, era l’uso di un abito in broccato ricamato con fili di cotone multicolore su disegni a soggetto floreale (pampinija) evolutosi successivamente con l’utilizzo di tessuto damascato.
Abito del lutto
Caduto ormai in disuso, questa versione dell’abito comprendeva una gonna di taffetas nero (fodhija) con l’orlo listato da velluto dello stesso colore, il giubbino nero (xhipuni) di velluto o seta, merletto (petini) di pizzo o seta. La sua caratterizzazione più forte è dovuta ad un ampio manto (mënti) di taffetas nero a forma di mezzaluna che, fermato sul capo, avvolgeva il corpo con ampie volute. L’abito, senza gioielli, era indossato dalle donne sposate in circostanze luttuose e, con il solo brezi, il venerdì santo nelle funzioni liturgiche e nella suggestiva processione del Cristo morto. Nella stessa occasione le giovani donne nubili usavano la gonna damascata (pampinija) col manto nero (mënti) raccolto su un fianco.
La gonna con le fasce (xhëllona me kurorë) riporta, a partire dall’orlo, un certo numero di fasce lavorate a fusello (tombolo a filo d’oro) secondo una tecnica artigianale, applicata al cotone, ampiamente diffusa in Sicilia. È quindi ipotizzabile che gli arbëreshë, appresa questa tecnica l’abbiano però applicata nella lavorazione dei fili d’oro per i ricami dei propri abiti. Il numero delle fasce, a seconda della funzione e dell’uso, varia da uno a tre. Secondo fonti della tradizione orale, la gonna con una fascia veniva indossata per le funzioni religiose giornaliere e in altri momenti della giornata riguardanti lo svolgimento di doveri sociali, quella a due fasce per la messa domenicale e quella a tre per cerimonie ancora più importanti come la festa di S. Giorgio, patrono di Piana degli Albanesi.
La gonna a tre fasce era indossata con camicia di tela bianca (linja) a maniche larghe, nota come “levantina”, (adoperata in prevalenza dalle donne più giovani per la sua linea moderna e audace) oppure con giubbino (utilizzato dalle donne più mature). Durante la Settimana santa (Java e madhe) si riscontra in modo particolare quanto gli abiti, stante la stretta relazione tra i significati dei suoi componenti e la liturgia bizantina, siano un segno dell’identità. I primi tre giorni della Settimana le donne partecipavano alle cerimonie religiose in abito giornaliero mentre a partire dal giovedì venivano utilizzati gli abiti della festa. Il venerdì si indossava anche la fodhija. La domenica di Pasqua era, ed è ancora, un tripudio di abiti della festa quasi a simboleggiare, con la loro ricchezza e i loro colori, la gioia della Resurrezione.